È iniziata la terza settimana di quarantena.
È iniziata con un cielo grigio, raffiche di vento e un brusco calo delle temperature. Tuttavia l’animo, beh, quello sembra essere più leggero.
L’ultima settimana è stata un insieme di momenti di up and down, di leggerezza e pesantezza, di tantissime cose da poter fare in casa intervallate dalla noia di averle finite e non sapere più cosa inventarsi.
Nonostante questi intervalli ho avuto del tempo per riflettere sul senso del cambiamento. Lo sapete ormai, i 30 si avvicinano e io devo tirare una linea e fare un bilancio della mia vita; pro e contro dell’essere una libera professionista, pro e contro della vita a Milano, pro e contro dell’essere libera da tutto ma incatenata allo stesso tempo.
Non pensavo che ne avrei avuto mai il tempo, mai la voglia e soprattutto la forza di toccare questi argomenti con me stessa, facendo venire tutti i nodi al pettine. Sono sempre stata una di quelle del “mi tengo notevolmente impegnata per non pensare, perché se mi fermo e ci penso è la fine”.
Non c’è da stupirsi, insomma, viviamo in un mondo talmente veloce che non è così facile nemmeno pensare di fermarsi. La quarantena, invece, ci ha letteralmente costretti a rallentare, a fermarci, in un mondo che facciamo fatica a seguire, molto spesso non sentendoci al passo, come durante una lezione di step coreografico quando perdi il tempo e ti estranei dal gruppo sentendoti isolata.
Quindi ora sono qui, guardando lo schermo di un pc e cercando di trovare le parole per scrivere del mio cambiamento in atto.
Si, il cambiamento si è attivato, dopo una settimana di oppressione totale, di sensazione di pietre nello stomaco, di pianti, di quel senso di lontananza dai tuoi cari che c’era anche prima ma ora sembra che sia più dura, più reale, non sapendo quando potrai tornare a riabbracciarli.
E non voglio essere banale, non ho pensato neppure per un secondo di cambiare le mie abitudini. Non ho pensato di non correre per raggiungere degli obiettivi; non ho pensato di lasciare tutto per trasferirmi a Bora Bora per aprire un cocktail bar fronte spiaggia; non ho pensato nemmeno per un momento di vivere una vita più sana, perchè effettivamente il mio stile di vita mi piace, è sano e variegato e non ho nessun motivo per cambiarlo.
Eppure una cosa ho pensato di cambiarla.
Il mio modo di vedere il mio lavoro.
Sono sempre stata una tuttofare, una che ha sempre utilizzato testa e mani per raggiungere il suo obiettivo. Una che non si è mai chiesta: “Se perdo questo lavoro cosa ne sarà di me?” perchè anche adesso io non ho un lavoro, io seguo un modo di vivere.
Ho pensato se magari fosse la scelta più giusta essere una libera professionista o se mi sarebbe convenuto essere una classica dipendente con la possibilità di avere una bella carriera (sicuramente più soldi) e non avere il peso costante che ti crea dover badare a tutto.
Ci ho pensato per svariati giorni, quasi settimane, eppure ogni volta che riesaminavo i vari lavori che avrei potuto svolgere tornavo sempre li, all’essere una lavoratrice indipendente.
Probabilmente mi è sempre piaciuta l’idea di rimboccarmi le maniche e raggiungere da sola i miei obiettivi. Sicuramente è un modo di vivere che ho sempre cercato, quello di non dover in nessun modo venire a patti con nessuno se non con me stessa e buona parte di questa realtà che mi sono voluta costruire deriva dall’esempio dei miei, che non hanno potuto fare quello che avrebbero voluto e hanno cercato sempre di far fare a noi il possibile per raggiungere la nostra felicità.
In queste tre settimane di quarantena ho capito che il problema non sta nel tipo di lavoro che ho, ma nel mio modo di approcciarmi al mio lavoro, rendendolo, a volte, l’unica (o quasi) cosa importante della mia vita.
Il mio lavoro è la mia passione, il mio sogno nel cassetto. Ma non è me.
Io sono tante cose. Certamente sono una designer, ma sono anche un’artista, una pittrice, una piccola allieva di yoga, una zia, una figlia, una compagna, una sorella, un’amica. Sono una e centomila.
E se dovessi fallire nella realizzazione di questo progetto non fallirei mai come persona, perchè so, al 100%, di aver fatto tutto il possibile.
Ecco che il mio cambiamento è stato personale, ed è stata la cosa migliore che questa quarantena potesse regalarmi.
La consapevolezza che non siamo il nostro lavoro.
Io non sono il mio lavoro.
Sono semplicemente Alessandra.
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