Dal vecchio al nuovo

Dal vecchio al nuovo

Tutto ciò che vediamo, tocchiamo, indossiamo, leggiamo ci connette con qualcosa che è già stato, pensato, vissuto. Da un filo si crea una trama, da una trama si crea un tessuto e da un tessuto si crea vita. Tutto è connesso da un filo che lega assieme diversi organismi, diverse storie, diverse realtà.

Dove stiamo sbagliando allora?

In ciò che leggo di nuovo non trovo connessioni, come anche nell’arte, nell’abbigliamento, nella vita. Siamo tutti slegati. Ognuno legge per se. Ognuno indossa per se. Ognuno vive per se. Non crediamo più in qualcosa che vada oltre ciò di puramente effimero poco distante da noi. Nessuno trova più il piacere e la leggerezza che si prova nello scrivere a mano una lettera. Nessuno sa più toccare il terreno scoprendoci la vita intrinseca dentro ad ogni radice, toccare un tessuto e sentire l’odore della fibra. Nessuno vuole più conoscere i saperi antichi e nessuno vuole rompere la catena di effimero e inconsistente che “lega” ormai ogni essenza di questa Terra.

Eppure ho riscoperto la gioia delle piccole cose, delle piccole opere d’arte. Delle persone che anno dopo anno hanno costruito un impero fatto di sorrisi e sudore. Di Famiglia. Di Realtà.
Ho riscoperto cosa si prova ad osservare un tappeto antico su di una parete e percepire le chiacchiere, le risate e i pianti di chi l’ha creato con tanta dedizione e amore.
Ho riscoperto che non siamo solo H&M o Zara, Armani o Valentino. Non siamo solo un nome. Siamo una realtà forte, che grida al cambiamento, un cambiamento necessario.
E ho scoperto che io voglio essere un tassello di questo cambiamento.

Vi lascio ciò che ho fotografato in questi giorni. Tutto ciò che ho provato non si può spiegare. Quello che era un incontro tra creativi è diventato una porta sul futuro, con una finestrella sul passato.

Tessuto Punti e Linee

Tessuto Punti e Linee

Dall’unione tra moda e artigianato e lana e cotone, in collaborazione con l’azienda “Mariantonia Urru” di Samugheo, è nato il primo tessuto Alessandra Curreli made in Italy.

Il tessuto “Punti e Linee” interamente handmade è stato creato con la lavorazione Pibiones, tipica dell’isola,  rivisitata in chiave moderna e di tendenza, ed è stato il protagonista della collezione F\W 2018.

La particolarità di questo tessuto è l’accostamento tra cotone e lana che creano un contrasto tra crespato e liscio e allo stesso modo il gioco di colori e volumi dati proprio dai pieni e vuoti tra “Pibiones” e le linee che conferiscono al capo le tridimensionalità tipica dei tappeti sardi.

Tinture Naturali

Tinture Naturali

LE TINTURE NATURALI

LE ORIGINI

Il primo insediamento umano europeo è stato il Mediterraneo. Fin dalle origini l’uomo ha utilizzato sostanze naturali per tingere i tessuti, come viene documentato dai numerosi resti fossili, ma fu in epoca classica, dal 600 a.C al 400 d.C. con lo sviluppo della civiltà greca e romana che quest’arte crebbe a dismisura. I Fenici e i Cartaginesi per primi affinarono le capacità tintorie e, viaggiando e spostandosi in tutte le zone del Mediterraneo, insegnarono man mano anche ai Greci e ai Romani questa preziosa arte. La gamma base dei colori utilizzati era composta dagli azzurri ottenuti con le Indigofere, i gialli con Cartamo e Croco, i rossi con la Robbia, Kermes e la famosa e preziosa Porpora. “Sappiamo da Plinio che Reseda e Guado erano largamente usati dai Romani per tingere in giallo, blu e verde, mentre Discoride ci parla dell’uso di Robbia, Roccella e Noci di galla, accanto a mallo di Noce, Ginestra tintoria e Melograno. Anchusa e Thapsia erano usate in Grecia, come pure la corteccia di Ontano.” Certamente è merito dei romani aver unito i saperi mediterranei con quelli del nord dell’Europa, mantenuti poi sino all’invenzione della stampa per via orale. Proprio “in questo humus affonda le sue radici la tradizione tintoria mediterranea, per poi svilupparsi in due direzioni: quella della tintura ufficiale, legata alla coltivazione ed agli scambi commerciali e quella della tintura botanica, legate alle risorse locali, i cui percorsi sono destinati a viaggiare paralleli, ma spesso anche intersecarsi per cause storiche, economiche e sociali.”
Nella biblioteca di Innsbruck è oggi conservato un manoscritto del monastero di Stam (Tirolo) datato 1300 riportante un elenco di 1300 ricette tintorie con piante spontanee utilizzate nel centro dell’Europa sino ad allora. Ma anche altre pubblicazioni uscite intorno all’800 in molti paesi europei sono ritenute molto importanti. In quegli anni infatti il blocco commerciale napoleonico impediva l’importazione dei coloranti esotici, quali Legno di Campeggio, Legno Rosso del Brasile, Indaco da Indigofera, Cocciniglia di provenienza extra continentale.
La tradizione tintoria in Sardegna risale all’antichità: i cretesi vi portarono la Robbia, Zafferano, e Alkanna. Fenici, Greci, e Cartaginesi vi indussero fibre vegetali come lino, canapa, cotone, che andarono ad affiancarsi a lana, seta e bisso (fibra tessile marina, ricavata dai filamenti di ancoraggio al fondo di Pinna Nobilis, conchiglia bivalve), i Romani vi imposero l’utilizzo sistematico di risorse tintorie locali pregiate quali rossi di Kermes e di Porpora, entrambi di grandissimo valore commerciale. La tintura al Kermes, derivante dal Coccus ilicis, insetto parassita di Quercus Spinosa, forniva il bellissimo “rosso cremisi” mentre la secrezione di Murex brandaris (su Bucconi, in lingua sarda) forniva il rarissimo “Rosso Porpora” di tradizione fenicia. Tintura d’inestimabile valore, se si pensa che 5000 molluschi dovevano contribuire a tingere di un colore variante dal blu-violaceo al rosso scuro-quasi nero (secondo il mollusco usato o dell’associazione fra i due) un metro di stoffa. Altro rosso violaceo – di origine però vegetale – era quello estratto da un lichene, Roccella tintoria, denominata nell’isola “Erba lana”. Tutti questi coloranti, insieme con quelli provenienti dalle Indigofere – Indaco da Indigofera tintoria e Guado da Isatis Tinctoria – utilizzati per tingere in blu, conobbero in Sardegna alterne fortune. Alcuni di essi furono coltivati, soprattutto nel periodo della dominazione sabauda, ma mai in modo intensivo, se non per brevissimi periodi. Altri, come il Kermes, Porpora e Roccella, furono esportati dalla Sardegna in notevoli quantità, tanto da provocarne, in alcuni casi, l’estinzione. Ad essi si affiancarono – in ruolo non certo secondario per qualità e rispetto all’uso del tessile locale – i coloranti derivanti dalle numerose piane tintorie presenti sul territorio, fra cui la Daphne gnidium e Rubia peregrina, insieme con molte altre, diversificate secondo la loro diffusione locale.

Nonostante la diversificazione dei colori possibili da ottenere naturalmente, molti sono i fattori che incidono quando li si vuole utilizzare in sostituzione dei colori di sintesi. Infatti, “non tutte le sostanze colorate possono essere usate come coloranti. Per avere proprietà tintorie, oltre a essere colorate, devono fissarsi più o meno stabilmente sul supporto da tingere, resistere agli agenti atmosferici e non modificarsi nel tempo.”

LIMITI E SVILUPPI POSSIBILI

In modo quasi naturale, oggi, pensiamo che molte delle piante che ci circondano siano sostanzialmente delle erbacce inutili. Durante le mie ricerche sono rimasta affascinata nello scoprire che, proprio nella mia isola, ci fossero un’infinità di piante tintorie. Con il progressivo avanzamento della chimica e l’avvento delle tinture in sintesi nel corso del XX secolo, le tradizioni tintorie, che sino a un secolo fa venivano tramandate e insegnate ai giovani, furono, in prima battuta, utilizzate in minor misura e poi abbandonate progressivamente. Nell’isola, soprattutto, i due metodi di tintura tradizionale e chimico hanno continuato a convivere parallelamente nel corso degli anni ’50-’60 del ‘900, ma possiamo affermare che fu il metodo tradizionale a prevalere, soprattutto nelle zone della Barbagia. Di tintura in sintesi, in Sardegna, si parla già negli anni ’40 del secolo scorso, la quale veniva utilizzata ma con l’aggiunta di coloranti naturali ad alta concentrazione di tannino, fissativo naturale, in grado di rinforzare la scarsa solidità alla luce delle nuove tinture. È palese il motivo per il quale, però, con il perfezionamento delle tecniche tintorie di natura chimica, la facilità di applicazione e resa e la gamma di colori capace di offrire, “tale da far concorrenza a quelli dell’arcobaleno”, le tecniche naturali lasciarono il posto a quelle di sintesi. Infatti, la gamma dei colori che sino ad allora veniva utilizzata era più limitata e i toni sino ad allora ottenuti erano spenti, di tonalità brune o grigiastre, “testimonianza di degradazione”. Questo avveniva a causa della presenza di pigmenti già in forma associata all’interno di ciascun vegetale. In Sardegna il passaggio dalla tintura naturale a quella chimica è avvenuto molto lentamente e non in maniera omogenea su tutto il territorio. Infatti, soprattutto in quei luoghi in cui non vi erano macchine addette alla manifattura tessile, che perciò non richiedeva una grossa lavorazione e produzione di filati, non imponeva la necessità di un notevole cambiamento. “Se poi la gamma dei colori naturali derivanti dalla vegetazione era limitata, è pur vero che in essi gli abitanti del luogo riconoscevano il mondo naturale con cui erano in contatto, al punto da attribuire all’elemento colore – oltre ad una funzione estetica – anche una funzione caratterizzante e simbolica. Ciò in sintonia e in continuità con le antiche civiltà mediterranee, in cui la forza simbolica di un limitato numero di colori permeava profondamente la vita e le manifestazioni artistiche che ne erano rappresentazione.”
Proprio questa sintonia con la tradizione e soprattutto con l’ambiente sta contribuendo ad un sostanziale cambiamento nel life style e nei sistemi di produzione di moda. Il mio lavoro parte proprio dal dibattito che ha iniziato a prendere piede molto lentamente nel 2000 ma oggi di grande rilevanza che è quello della moda ecosostenibile e del ritorno a sistemi di produzione maggiormente legati al territorio piuttosto che alla mera risposta economica, tipica delle ormai note aziende che si occupano di fast fashion. Il termine “sostenibilità” ormai di uso comune, ha assunto diverse accezioni a seconda dell’ambito di riferimento. Certo è, che il tema dell’ecologia “è storicamente e inevitabilmente un fenomeno postmoderno, suscitato da un mondo divenuto industrializzato, tecnologico, commerciale e globalizzato, nel quale si aprono e si accrescono le questioni legate all’emergenza ambientale, allo spreco delle risorse naturali, ai costi dell’energia, al riscaldamento globale, al sovrappopolamento globale e il conseguente depauperamento degli habitat e alla scarsità delle materie prime, alla tossicità dei prodotti industriali, all’inquinamento dell’aria e delle acque, allo smaltimento dei rifiuti. Essere un’impresa sostenibile in senso ecologico può significare, di conseguenza, assumere scelte in grado di abbassare l’impatto ecologico delle proprie attività produttive, contenere i consumi, progettare e realizzare oggetti che per le materie prime usate, le modalità con cui sono stati lavorati, il comportamento a fine vita, non graveranno sull’ambiente.”
Svolgendo una ricerca sul campo, mi sono recata in una piccola azienda nel centro della Sardegna che si occupa di tinture naturali. Quest’azienda è nata con lo scopo di portare avanti un progetto ecosostenibile e artigianale, occupandosi quindi di tinture sul filato eseguite con elementi 100 % naturali, sia autoctoni sia importati, cercando di utilizzare molti elementi di scarto, quali ad esempio bucce di melograno e cipolla

La gamma di colori possibili da realizzare è ovviamente limitata rispetto a quella che ci offre la tintura in sintesi, ma sicuramente sufficiente per portare avanti un discorso di una capsule collection basata su un prodotto al 100% eco friendly e artigianale.

 

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